Quando dimentichiamo la nostra umanità
La cosa che immediatamente salta agli occhi guardando Immi, è il richiamo forte a Guernica; lì dove la distruzione arrivava dal cielo in Immi la morte arriva dal mare: identico è lo sguardo terrorizzato, attonito di chi si chiede il perché di ciò che gli accade, il perché di un destino tanto feroce a fronte di una vita che non sarà certo stata meritevole di tanta crudeltà.
Nell’opera di Fabrizi però risalta l’uso del colore, soprattutto le tonalità dell’azzurro: il cielo, il mare, il nostro mare.
Il mare Mediterraneo ha, da sempre, avuto una connotazione ambivalente: da un lato oggetto del desiderio di attraversarlo, andare a vedere cosa ci fosse al di là della distesa blu, oltre la quale si narrava sempre di terre fertili e bellissime, gli Argonauti ancor prima di Ulisse ed Enea; ma sapevano bene i nostri antenati che quel blu poteva essere foriero di pericoli mortali, Scilla e Cariddi, l’isola delle Sirene. Mettersi in mare era sempre prima di tutto un rischio. Forse per questo motivo anche una delle parole più antiche, ospite, ha un significato ambivalente. L’origine indoeuropea, che attraverso il latino si ritrova in quasi tutte le lingue romanze ha una complessa etimologia che racchiude il duplice significato della persona che accoglie e di chi è accolto in una reciprocità del patto di ospitalità. La ricostruzione etimologica * vede coinvolto anche il termine hostis che ha il duplice significato in latino di straniero e di nemico. Si gioca tutto sul filo sottile tra il riconoscimento empatico dell’altro che arriva da terre lontane, disorientato ed impaurito ed il sentimento di paura che ci chiude agli altri e ce li rende nemici. Nei poemi all’origine della nostra civiltà troviamo entrambi questi atteggiamenti: l’ospitalità considerata sacra di Alcinoo nelle Argonautiche e nell’Odissea ma anche la paura verso gli stranieri arrivati dal medioriente con Enea sulle spiagge del Lazio attraverso il mare.
Così ogni volta siamo chiamati a scegliere. Scegliere chi vogliamo essere attraverso il modo in cui accogliamo l’altro. Cosa ci suscita IMMI? Siamo portati a pensare che l’atteggiamento di apertura all’altro sia connaturato nell’uomo, ma non è così. La parte istintiva e animalesca che è in noi è sospettosa e facilmente, irrazionalmente violenta se sopraffatta dalla paura. Nelle varie epoche storiche, a volte persino attraverso regole che purtroppo ci siamo dati, abbiamo permesso alla parte peggiore di noi di fare capolino e di allontanarci dalla nostra stessa umanità. Quando invece hanno prevalso l’accoglienza, la libertà, i diritti che vorremmo universali, abbiamo scelto di diventare persone migliori riconoscendo negli occhi dell’altro le nostre stesse paure ma anche la capacità di amare e l’intelligenza che hanno dato all’umanità le menti più grandi.
Carlo Rubbia in occasione dell’apertura dell’anno accademico di Bologna 2000/2001 ci parlava dell’unica possibilità che ha l’umanità per potersi salvare: l’interconnessione. Termine con il quale intende non (solo) la tecnologia ma la capacità degli uomini di trovare assieme soluzioni. La realtà che ci troviamo da affrontare è troppo complessa perché i problemi possano essere risolti da una sola persona o da un solo un solo popolo se questo termine ha ancora un senso dopo 80.000 anni di migrazioni. Le ultime grandi scoperte vengono da gruppi di studiosi potremmo dire multiculturali; è quindi una scelta etica ma anche una scelta di salvezza per l’umanità quella di cercare nel meglio dell’altro, chiunque egli sia, la possibilità di sopravvivere in un mondo così complesso e fragile.
Non lasciamo spegnere la fiamma della candela che brilla al centro di IMMI.
* (Dizionario Etimologico di Alberto Nocentini)